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Drusia, nella terra del mistero.

  • sebastiancote-pabo
  • 1 mar 2022
  • Tempo di lettura: 5 min

Esiste nel Medio Oriente levantino un popolo che non viene quasi mai menzionati dagli analisti, quasi fosse al margine di ciò che succede a queste latitudini. Si tratta della comunità religiosa dei drusi; o, come preferiscono definirsi loro, dei muwahhidun,“coloro che proclamano l’unità di Dio”.


Poco più di un milione di anime, il popolo druso è ripartito in varie regioni di Siria, Libano, Israele e Giordania. Uno delle prime testimonianze della loro esistenza risale alla seconda metà del XII secolo, ed è il racconto di Beniamino di Tudela, geografo ed esploratore spagnolo di cultura ebraica. Durante uno dei suoi peripli per il Medio Oriente, e non senza una certa sorpresa, il viaggiatore osservò che la maggior parte dei Darazyan viveva sulle montagne. Caratteristica che ha garantito loro di custodire gelosamente, nel corso dei secoli, i segreti della propria fede. Ancora oggi i drusi vivono in villaggi relativamente isolati nelle zone montagnose dell’Alta Galilea, delle Alture del Golan, su quello che non a caso viene chiamato Monte Druso, sulla catena dell’Anti-Libano e sul Monte Libano. Questo è anche dato dal fatto che, in quanto minoranza, le relazioni dei drusi con l’ambiente circostante siano sempre state in varia misura ostili e problematiche. E lo sono ancora.


Del popolo druso si conosce relativamente poco, ma è certo che esso giochi un ruolo importante nell’attuale guerra civile in Siria, nelle costanti tensioni che interessano il Libano e nel conflitto tra israeliani e palestinesi. In Israele, per esempio, ogni ragazzo druso ha l’obbligo dei tre anni di leva militare, al pari di tutt


i gli altri (eccezion fatta per gli ebrei ortodossi). E questo comporta non pochi problemi a un popolo che è in tutto e per tutto arabo, e che proprio per il fatto di stare tra l’incudine e il martello ha spesso problemi con i suoi vicini musulmani e cristiani.


Come avviene per tutte le religioni, anche l’origine della religione drusa è racchiusa nel mistero. In un’epoca particolarmente propensa ai messianismi, il giovane al-Hakim, sesto califfo della dinastia egizia Fatimide, fu proclamato nel 1017 il Mahdi dell’Islam sciita. “Mahdi” è il termine arabo per indicare il “ben guidato da Dio”, e non stupisce dunque che qualcuno vide nel giovane califfo il Messia in persona, l’ultima rivelazione umana di Dio. Nel 1021, con grande sconcerto di molti, al-Hakimscompare senza lasciare tracce e i suoi seguaci iniziano a diffondere l’idea che in quella scomparsa vi è la prova della fedeltà ai suoi adepti. Per loro il giovane califfo non è scomparso per sempre, ma – questo il loro pensiero ancora oggi - al momento opportuno ritornerà.


La storia battezzò questa manciata di individui con il nome di drusi, ed essi insieme al nome si son portati dietro attraverso i secoli l’appellativo di apostati. In effetti l’ortodossia musulmana respinse con forza la nuova “setta”, e ciò anche a causa degli eccessi del califfo fatimide. Per spiegare l’eccentricità del personaggio basti menzionare che, tra le altre cose, al-Hakim ordinò la distruzione del Santo Sepolcro, nel 1009, bruciò i rotoli della sinagoga di Gerusalemme e obbligò tutti i musulmani a pronunciare il suo nome invece del nome di Allah, durante la preghiera del venerdì. Oppure, risulta abbastanza curiosala proibizione per i drusi del consumo di mulukhiya (pianta della famiglia delle malvacee molto utilizzata nella cucina mediorientale): secondo al-Hakim questa pianta aumentava il desiderio sessuale, e questo costituiva una problema per la società dell’epoca. Il comico della vicenda è che se oggi si parla di questo episodio con un druso non particolarmente religioso, la spiegazione più frequente è che al-Hakimscivolò su un cespuglio dimulukhiya finendo per terra, e in un attacco di rabbia la proibì.


In termini generali i drusi si dividono in due gruppi: i religiosi o savi (uqqal) e i semplici o ignoranti (juhhal). I primi non superano il dieci per cento della popolazione e sono facilmente riconoscibili per il loro aspetto: gli uomini hanno folti baffi, teste rasate, e vestonoi tipici pantaloni larghi – un’eredità ottomana – chiamati shirwal. Gli abiti sia degli uomini sia delle donne sono di un blu molto scuro, e sulle teste portano un velo o un copricapo bianco– rimpiazzato in determinate cerimonie con un turbante. I drusi ritengono che la testa sia la dimora dell’anima, e che debba rivestirsi di bianco per mantenerne lo spirito e preservarne la purezza.


Sempre nel suo Libro dei Viaggi, Beniamino diTudela descrive ciò che i drusi pensano dell’anima, del fatto ad esempio che secondo loro questa si reincarna in un neonato ogni volta che abbandona un corpo. L’idea della trasmigrazione delle anime costituisce, in effetti, uno dei pilastri della teologia drusa. Il corpo non è altro che uno scafandro dell’anima, e la morte non ha nulla di tragico. Per questo i drusi non hanno cimiteri. Per questo portare il lutto è proibito. I cadaveri sono trattati come stracci da interrare in fosse comuni, e nessuno sa esattamente dove siano sepolti i propri cari. Questa nozione dell’eternità dell’anima è stata completamente assimilata, dai religiosi come dai “semplici”, al punto che il popolo druso è famoso per il coraggio che sconfina spesso nell’imprudenza.


Per convertirsi in religioso, un druso semplice deve superare una serie di prove. Solo i savi (e le savie, che in proporzione sono la maggioranza all’interno di quell’esclusivo 10%) hanno accesso alle Sacre Scritture, che nella religione drusa prendono il nome di Libri della Sapienza: un’antologia in sei tomi che riunisce le epistole dei più importanti seguaci di al-Hakim. Nonostante l’aria di mistero, le dottrine druse non sono completamente segrete, come spiega IgnácGoldziher, prestigioso accademico dell’Islam; anzi, molti manoscritti si possono trovare abbastanza facilmente in collezioni pubbliche occidentali. In ogni caso, un druso potrebbe ribattere che se anche i testi possano essere conosciuti, soltanto gli uqqal, i savi, sono in grado di dare le giuste interpretazioni allegoriche, e sotto il velo dei simboli esterni addentrarsi nella vera conoscenza esoterica delle scritture.


Tra i figli di al-Hakim non esiste proselitismo, ed è impossibile per un esterno convertirsi alla religione drusa. È richiesto entrambi i genitori siano drusi, affinché anche i figli lo siano. Per questo motivo, i matrimoni con persone di altre fedi sono proibiti, sono considerati un’uscita dalla comunità. Non esiste nemmeno, presso i drusi, un’ideologia nazionalista che li porti a desiderare uno Stato indipendente. Il concetto di “Drusia”, parola usata per dare il titolo a questo articolo, è di fatto impensabile.


Nonostante i segreti che gelosamente custodiscono, chi si avvicina con discrezione ai drusi trova persone di grande affabilità. Nei villaggi della Galilea, tra il verde rigoglioso dei boschi e il profumo penetrante del caffè al cardamomo, una sosta paziente tra i discendenti del califfo potrebbe aiutare a sbrogliare qualche matassa. Perché dietro i suoi misteri, il popolo druso nasconde forse chiavi di lettura interessanti, che varrebbe la pena approfondire con più dedizione.


 
 
 

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